YOGA SŪTRA:
LIBERAZIONE
DALL' ESISTENZA
CONDIZIONATA
Lo Yoga Sūtra, “Aforismi sullo Yoga”, costituisce il testo fondamentale dello Yoga classico o Yoga darśana, il primo nel quale questa disciplina viene presentata in modo sistematico e articolato. A Patañjali si deve la codifica, o la compilazione sistematica, dell'arte e della scienza dello Yoga in uno dei più importanti testi filosofici dell'India. Il termine sūtra, in Sanskṛt (1) (Sanscrito), ha il significato di “filo”, denotando più in particolare il filo che tiene unite le perle di una collana. Il sūtra dunque, come genere letterario, consta di una serie di brevi frasi concatenate l’una all’altra, concepite per essere memorizzate con facilità, e ciascuna delle quali costituiva probabilmente lo spunto da cui procedere nell’insegnamento orale da maestro a discepolo. Lo stile che ne risulta è perciò molto spesso conciso, enigmatico
e di non facile lettura. Il testo illustra in sintesi il cammino Yoga volto alla Realizzazione del Sé.
“La Realizzazione del Sé è un messaggio eterno. Qualunque siano il tuo credo e le tue pratiche, il loro scopo essenziale è di aiutarti a realizzare il tuo più alto potenziale… L’autorealizzazione non è il vestito che indossi esteriormente, ma l’abito di Luce che intessi intorno al tuo cuore”. (Paramhaṃsa Yogananda)
· Patañjali
La compilazione di Patañjali è di datazione incerta e molto controversa, si può far risalire a un'epoca tra il III-I sec. a.C. e il I sec. d.C, o addirittura in epoche più recenti, fino al V-VI sec. d.C, ma la tecnica illustrata sembra fosse praticata fin dall'antichità. Di Patañjali conosciamo molto poco. Anche i dettagli più importanti
della sua biografia sono oggetto di disputa e del poco che sappiamo, quasi tutto si confonde con la leggenda. Molti studiosi lo identificano con l'omonimo grammatico autore del Mahābhāsya, il “Grande commentario” sulla grammatica di Pāṇini, che visse nel II sec. a.C. Altri invece non sono concordi con questa identificazione e pensano sia un altro suo omonimo più tardo vissuto probabilmente tra il II sec. a.C. e il IV sec. d.C. che ha scritto un trattato di medicina āyurvedica (2). Secondo la tradizione hindū Patañjali è un avātara. Come viene dipinto in molte raffigurazioni, Patañjali è ritenuto una incarnazione del
serpente Ananta, il cui nome significa “colui che è senza fine” e che è un’altra forma di Ādiśeṣa “colui che rimane”. Il Signore Viṣṇu siede sopra Ādiśeṣa prima dell’inizio della creazione. Patañjali stesso è generalmente dipinto come mezzo uomo e mezzo serpente, con il torso umano che emerge dalle spire del serpente che si risveglia al momento della creazione. Il serpente rappresenta l’energia creativa. Le mani di Patañjali stanno nella posizione indiana tradizionale del saluto “namasté”, talvolta
definita come “añjali” o offerente. Siccome il termine “pata” vuol dire caduto, Patañjali può essere semplicemente tradotto come “la grazia che discende dal cielo”. Egli viene generalmente dipinto in una trance meditativa. Le sue mani benedicono coloro che si sono avvicinati a lui alla ricerca dello Yoga e delle sue verità. Il suo saluto allevia con la grazia le loro fatiche ed assicura che esse porteranno frutto. Patañjali infatti non ha due mani ma quattro. Le due poste di fronte benedicono nel gesto añjali mentre le altre due sono sollevate in alto. Una di esse tiene il śankha, la conchiglia che rappresenta l’energia del suono. Essa invita i meditanti alla pratica ed annuncia l’imminente fine del mondo come essi lo conoscono. L’altra mano alzata afferra il chakra, il disco che rappresenta sia la ruota del divenire, sia la legge di causa ed effetto.
· Struttura dello Yoga Sūtra
Lo Yoga Sūtra fu, nel corso del tempo, oggetto di numerosi commentari, tra i quali restano i più conosciuti l'importantissimo Yoga-bhāsya di Vyāsa (VII-IX sec. d.C.), la Tattva-vaiśāradī di Vācaspatimiśra (IX sec. d.C.), il Rāja-mārtanda di Bhoja (XI
sec. d.C.), lo Yoga-vārttika di Vijñānabhikṣu (XVI sec. d.C.) e la Maṇiprabhā di Rāmānanda Sarasvatī (XVI sec. d.C.).
L’ opera è strutturata in quattro libri:
1) Samādhi pāda libro dell’enstàsi, della contemplazione o meglio ancora, dell'unione, dell'atto del congiungere, dove si tratta dello scopo dello Yoga, di come realizzarlo, dei mezzi di conoscenza (Jñāna-Yoga) e del Signore, ed è indirizzato principalmente a praticanti già dotati di una mente ferma, capace di concentrarsi senza distrazioni, pronti alla meditazione.
2) Sādhana pāda libro del metodo o della pratica per raggiungere lo stato di Yoga, in cui si individua la fonte del disagio esistenziale o duḥkha, nei cinque kleśa o afflizioni che sono ignoranza, egoismo, il desiderio di possesso, avversione e attaccamento alla vita o timore della morte, radicate tutte nell'ignoranza o avidyā, che ostacolano il praticante al raggiungimento dello stato di Yoga, in cui si illustrano le otto tappe del cammino dello Yoga, e tratta della pratica delle prime cinque, ed è rivolto soprattutto a praticanti che hanno una mente instabile e tendenzialmente estroversa, che vogliono realizzare in modo graduale lo stato di unione (Karma-Yoga).
3) Vibhūti pāda libro delle facoltà soprannaturali tratta della pratica delle ultime tre tappe, partendo dalla concentrazione yogica, dhāraṇā, e dei poteri da esse derivanti.
4) Kaivalya pāda libro dell’isolamento, tratta di tutti quegli aspetti che portano alla realizzazione dello stato di kaivalya, sull'evoluzione del karman, sugli ostacoli posti sulla via dell'autorealizzazione, sull'importanza di dharma e adharma (3), e del samādhi come mezzo supremo.
Lo Yoga Sūtra nel primo libro, dopo aver indicato in I.1 di quale disciplina si vuole trattare, l'essenza di tutte le scienze, la scienza della coscienza, “Atha yogānuśāsanam”, in I.2 esordisce con la definizione: “Yogaś citta (4) vṛtti (5) nirodhaḥ”, ossia “lo Yoga è l’inibizione, la soppressione, il controllo dei vortici del citta, parola sanscrita che in sé racchiude il concetto di coscienza, ma anche di mente, intelletto, indica il fulcro dell'attività mentale nella sua totalità”.
Vimala Thakar dice che (6), “se citta, lo strumento che viene usato per vedere, è libero dalle increspature dei ricordi passati, dalla conoscenza, dalle esperienze e dai condizionamenti, se è libero dal moto delle vṛtti, senza l'intervento di repressioni,
nirodhaḥ, soltanto allora si realizza la percezione yogica, l'interazione tra colui che vede e la visione che ne deriva. La scienza dello Yoga ci dice che la radice della sofferenza è la percezione errata o incompleta o squilibrata. Citta, in cui risiede il
contenuto della memoria del passato, di tutta la conoscenza e le esperienze dell'intera umanità, è il suolo fertile in cui si annidano infelicità e sofferenza”. La mente, proiettata verso il futuro e caricata del peso del passato, intossicata dal desiderio e dall’attaccamento, non fa che intralciare la manifestazione del vero Sé, seme divino che è in ogni uomo, alimentando al contrario l’illusione della personalità e l’identificazione con il proprio ego: sorta di equivoco metafisico che sta alla radice della sofferenza.
Solamente mettendo a tacere il rumore dei turbini psichici e ritraendo la percezione dall’esterno via via sempre più verso l’interno, sarà possibile accedere allo stato di samādhi o “enstàsi”, nella traduzione di Mircea Eliade (7), stato in cui si compie la discriminazione tra spirito e natura, e la mente pacificata riposa nella sua essenza quale puro principio cosciente. Il lungo e difficile percorso che progressivamente porta a conquistare questa condizione finale di totale beatitudine è costituito dall’Aṣṭāṅga-Yoga, lo “Yoga dalle otto membra”, esposto nel secondo libro dello Yoga Sūtra, il “Libro del metodo”. Si tratta di un cammino a otto tappe che prescrive norme di comportamento e tecniche psicofisiche mediante le quali lo yogin (8) procede nella sua ascesa spirituale e sperimenta in maniera sempre più sottile la pratica di ekāgratā (9): la “concentrazione su un solo punto”.
Gli otto livelli dell’ Aṣṭāṅga-Yoga sono, nell’ordine:
1) Yama, “astensioni”: astenersi dalla violenza, dalla bugia, dal furto, dall'attività sessuale, dal possesso delle cose.
2) Niyama, “osservanze”: purificazione (mentale e fisica), contentezza, ascesi, dedizione allo studio e alla preghiera, abbandono al Signore. Le ultime tre costituiscono il Kriyā-Yoga.
3) Āsana, “posture”: la postura nello Yoga deve essere stabile ed agevole. Questo si ottiene eliminando ogni sforzo e cercando di superare l’identificazione con il proprio corpo.
4) Prāṇāyāma, “controllo del soffio vitale”: il respiro deve diventare lungo e sottile e la padronanza delle sue diverse fasi (inspirazione, espirazione, ritenzione) estremamente precisa e consapevole, dal momento che il respiro assoggettato
influisce sull’unidirezionalità del pensiero.
5) Pratyāhāra, “ritrazione dei sensi”: i sensi cessano di esercitare la loro funzione estroversa, e si unificano rivolti verso l’interno.
A questo punto lo yogin, raggiunto un primo stadio del processo di dissociazione dal mondo che lo circonda, può affrontare gli ultimi tre livelli dell’Aṣṭāṅga-Yoga, che consistono in un’ulteriore
riduzione delle possibilità di distrazione attraverso l’affinarsi della percezione interiore. Considerati nel loro insieme essi prendono il nome di Saṃyama, “perfetto controllo della mente”, e vengono definiti membri “intrinseci o antar-aṅga” dello Yoga, poiché ne costituiscono l’essenza stessa, a differenza dei primi cinque che
vengono invece definiti “estrinseci o bahir-aṅga”, e considerati propedeutici.
6) Dhāraṇā, “concentrazione”: la mente fissa l’attenzione su un unico punto, che può essere una parte del corpo come ad esempio la cavità del cuore , o un’immagine come ad esempio il sole o una divinità, e cerca di mantenersi legata all’oggetto senza
discostarsene, tornandoci ogni volta che un pensiero estraneo insorga a distrarla.
7) Dhyāna, “meditazione”: il flusso dell’attenzione all’oggetto diviene costante e uniforme, senza più increspature.
8) Samādhi, “enstàsi”, “atto di porre insieme”: la mente completamente svuotata di ogni contenuto si dissolve nell’oggetto della meditazione, in un processo in cui soggetto, oggetto e conoscenza dell’oggetto vengono a coincidere.
In realtà il cammino non è qui ancora concluso, perché esistono diverse forme di samādhi, delle quali quella detta nirbīja, “senza seme”, ossia senza più l’aiuto di un supporto per la meditazione, porta il praticante a riconoscersi e identificarsi quale puro spirito, e a sperimentare lo stato di “kaivalya”, isolamento assoluto nel quale la facoltà cosciente riposa nella sua essenza. L'istruzione detta dello Yoga Regale o Rāja-Yoga, si fonda sulla definizione di un sapere metafisico applicato, realizzato nell'esperienza dello yogin, come raggiungimento della stabilizzazione della consapevolezza nell'Essere. Tale condizione si situa nel Kaivalya, o isolamento, oltre le miserie e le sofferenze del vivere, oltre le fugaci acquisizioni del mondo o dello spirito, come il nucleo di pura
coscienza, indipendente e assoluto. L'esperienza di realizzazione della natura assoluta dell'essere, conseguita attraverso lo Yoga, non è differente dal principio enunciato nelle Upaniṣad, nella Bhagavad Gītā e nella tradizione Vedānta nel suo insieme. Lo Yoga, quale “mezzo” ha il compito di illustrare all'aspirante le condizioni coscienziali preliminari e intermedie che
sopraggiungono durante la ricerca. Secondo questo sistema, tutti i fenomeni, ordinari e straordinari, che si affacciano alla percezione dell'aspirante hanno come finalità la sua istruzione, e la purificazione dai desideri e dalle sofferenze. Il trattato è perciò
limpido e diretto nel descrivere esperienze di natura soprasensibile e intuizioni spirituali, come altrettante modificazioni della mente, che non intaccano il testimone cosciente, lo sperimentatore, istruito a distaccarsi dalla forza attrattiva del mondo materiale come di quello sottile, per conseguire la libertà piena dell'essere. Questa condizione abbraccia e comprende ogni altra, inferiore, nella coscienza profonda della natura reale di tutto l'esistente, visibile e invisibile. Le istruzioni che si susseguono nei quattro capitoli, sono di carattere pratico, minuziose, attente a cogliere i desideri di potenza e di conoscenza che il ricercatore può trovarsi ad affrontare nel cammino. Tali desideri offrono in ogni luogo la possibilità di comprendere il come e il perché delle forme di questo universo e della mente, essendo i nostri impulsi la matrice di ogni cosa esistente. Attraverso la pratica della meditazione insegnata da Patañjali, il ricercatore emerge dal mondo delle illusioni mentali all'Isolamento-Liberazione, l'identità con il soggetto testimone, coscienza e conoscenza di tutto.
NOTE:
1 E' la lingua in cui è redatta la stragrande maggioranza delle fonti relative allo Yoga ed è la lingua letteraria per eccellenza dell'India, tradizionalmente definita come deva-bhāṣā o “lingua degli dei”.
Il suo nome, derivato dalla radice kṛ- “fare”, con il preverbo sam “con”, corrisponde al latino confectum e indica pertanto una lingua “elaborata, ben costruita”.
2 La parola Āyurveda è un termine sanscrito che significa “scienza della durata della vita”. Āyuḥ significa “durata della vita” o “vivere quotidiano” e Veda è “conoscere”. L'Āyurveda fu registrato nei Veda, la più antica letteratura al mondo. E' un sistema di cura che è stato ed è praticato in India da più di 5000 anni.
3 “Disordine”, “ingiustizia”. E' l'opposto di dharma e la sua crescita si accompagna al progressivo
decadimento della legge morale nelle quattro ere cosmiche (yuga).
4 Termine che nello Yoga si sovrappone talora a buddhi (intelletto) secondo la scuola del Sāṁkhya.
5 Sono interferenze causate dall'insorgere della memoria, deposito della conoscenza umana, esperienze, modelli di comportamento, che sono appunto chiamati condizionamenti. Deriva dalla radice vṛt- che suggerisce l'idea di un'attività rotatoria e vorticosa che, in questo contesto, assume un
significato negativo della coscienza.
6 Tratto da Lo Yoga oltre la Meditazione – Sugli Yoga Sūtra (pag.15) – Ubaldini Editore. Vimala
Thakar, nata in India, studiosa di filosofia orientale e occidentale.
7 Mircea Eliade, uno dei più grandi studiosi del fenomeno religioso, scrittore e saggista.
8 Colui che pratica lo Yoga e che è già pervenuto a un punto molto avanzato o che ha realizzato l’Unione. Ma più semplicemente anche l'iniziato che si è posto sulla via dello Yoga.
9 La concentrazione in un solo punto è una delle modalità psichiche prese in esame da Vyāsa nel suo commento allo Yoga Sūtra, più precisamente quella che prelude direttamente alla condizione del liberato.
Bibliografia: tratta dalla mia tesi ISFIY 2004-2008 "Isvara pranidhana: l'abbandono al Signore"